Domenica 27 luglio 2014
Croara, Bologna
Ulisse ha incontrato i Feaci.
Dopo una settimana di viaggi
avventurosi Gabriel e la troupe de Il Sogno di Omero si sono
imbattuti finalmente in un popolo ospitale e coraggioso.
Come i Feaci per Ulisse, Gionni e
Stefano hanno ascoltato la nostra storia, hanno voluto ospitarci,
hanno permesso ai sogni di Gabriel di prendere forma.
Nell'Odissea di Omero, la
narrazione sui Feaci si lega al sistema dei valori della xenìa,
quella che era la forma di ospitalità del mondo greco. Omero
racconta di come accolsero benevolmente Ulisse, fornendogli la
nave che lo avrebbe riportato in patria, pur sapendo che con questo
gesto sarebbero incorsi nell'ira di Poseidone. Il loro re
è Alcinoo, la cui moglie era Arete, una donna che avrà un
ruolo importante nel determinare l'aiuto dato a Ulisse. Loro figlia
era Nausicaa, la prima a imbattersi nell'eroe greco reduce dal
naufragio e a offrirgli l'ospitalità.
La Xenia (dal greco ξενία, xenía)
riassume il concetto dell'ospitalità e dei rapporti tra ospite
ed ospitante nel mondo greco antico, della cui civiltà
costituiva un aspetto di grande rilievo.
La xenia si reggeva su un sistema di prescrizioni e
consuetudini non scritte che si possono riassumere in tre regole di
base:
- il rispetto del padrone di casa verso l'ospite
- il rispetto dell'ospite verso il padrone di casa
- la consegna di un "regalo d'addio" all'ospite da parte del padrone di casa.
Di' il nome, come laggiù ti chiamavano
il padre e la madre,
e gli altri in città e quanti vivono
intorno;
certo nessuno tra gli uomini è senza nome,
né il
vile né il nobile, appena sia nato:
a tutti i genitori lo danno,
come li mettono al mondo.
E dimmi la terra, il popolo tuo, la
città,
sicché ti ci portino guidate dal pensiero le navi.
Perché i Feaci non hanno
nocchieri,
non ci sono timoni, come ne han l'altre navi,
ma
sanno da sole il pensiero e l'intendimento degli uomini,
e san le
città e i pingui campi di tutti,
e l'abisso del mare velocissime
passano,
di nebbia e nube fasciate; mai hanno paura
di subir
danno o d'andar perdute.
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