giovedì 7 agosto 2014

Penelope e il sogno

Pubblichiamo un estratto dal saggio: Ho visto un sogno: Io assente ed es-terno in Omero di Emilio D’Agostino, Università degli Studi di Salerno, Quaderns d’Italià 13, 2008

L’articolo prende in esame la tipologia dei sogni che appare nei poemi omerici. Vi troviamo sogni ancora legati a quella che Freud definì «concezione primordiale», ossia una rappresentazione esterna al soggetto, una specie di messaggio inviato dagli Dei con fini esortativi o a volte per predire il futuro. Accanto a questi, appare già il sogno come attività della psiche del soggetto: è il caso del sogno di Penelope che anticipa la concezione moderna dell’attività onirica.

La concezione che Freud chiama «primordiale» è contraddistinta da una definizione del sogno come puro messaggio inviato durante il sonno a un individuo da parte della divinità. Esso non è, infatti, prodotto dell’individuo stesso, ma costituisce una pura «visione» generata volontariamente dall’esterno. Veritiera oppure ingannevole essa assume, in genere, un carattere «esortativo», spingendo il soggetto passivo dell’attività onirica ad un’azione: quella voluta o incoraggiata dalla divinità...

In modo non prevedibile si sviluppa, invece, l’episodio del sogno di Penelope. L‘anomalia, infatti, è data dalla genesi stessa del sogno e dai suoi contenuti. In apparenza, esso costituisce soltanto un sogno particolarmente oscuro che, per essere interpretato ha bisogno di un interprete, un oneirokrites, e di cui la natura è ignota allo stesso soggetto sognatore, Penelope. La donna, infatti, non fa che essere ancora portatrice della concezione tradizionale dell’attività onirica.
E non potrebbe essere altrimenti. Nel colloquio con Odisseo, che ancora non le ha svelato la propria identità, Penelope riprende la teoria delle «due porte»:

Ospite, i sogni sono vani, inspiegabili:
non tutti si avverano,
purtroppo, per gli uomini.
(L. XIX)

Ma Penelope, durante il sogno, ha pianto e singhiozzato:
E io piangevo e singhiozzavo nel sogno 
(L. XIX, v. 541)

...In realtà, appare verosimile sostenere che, in questo caso, la genesi del sogno sia interna e non esterna al soggetto e che, dunque, il soggetto sognatore sia un soggetto «attivo» che proietta il contenuto di una parte del suo animo nel sogno stesso. Cioè come il suo sogno sia prodotto del suo animo, dei desideri confligenti che in esso si agitano, del conflitto interiore tra questi e la realtà più prossima e, infine, dallo stesso conflitto sempre intimo che si genera nell’animo di Penelope tra il desiderio del ritorno di Ulisse e la considerazione che la spinge ad accettare un possibile nuovo matrimonio con uno dei pretendenti.

Se non fosse stato elaborato nel settimo secolo a. C., il sogno di Penelope rappresenterebbe, forse, un esempio semplice, ma paradigmatico della concezione moderna dell’attività onirica.

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